Il Regolamento MiCA è il primo provvedimento normativo al mondo di carattere generale e organico, che affronta in modo orizzontale il fenomeno cripto.
Assisteremo per banche e IMEL ad una rivoluzione delle loro tradizionali aree di attività? Quale potrebbe essere lo sviluppo del mercato delle cripto-attività disciplinate dal nuovo Regolamento europeo? Quale ruolo potrà avere l’euro digitale in un sistema che si sta evolvendo sempre più rapidamente verso il mondo delle criptovalute?
Ne abbiamo parlato con Antonio Ferraguto e Francesco Rampone, partner de "La Scala", Società tra Avvocati per Azioni e Professional Partner del nostro network.
Il regolamento (UE) MiCA (n. 2024/1114, il Regolamento) non contiene una definizione di cripto-valuta, evidentemente rinviando a quella già fornita nell’ambito della normativa AML (v. successivo paragrafo). Esso non si occupa nemmeno di definire cos’è un token, evidentemente ritenendo che si tratti di nozione comune sufficientemente esplicativa e pur utilizzando tale termine come elemento centrale per la tripartizione degli “oggetti” intorno ai quali si sviluppa tutta la sua disciplina: i Token Collegati ad Attività (ART – Titolo III), i Token di Moneta Elettronica (EMT – Titolo IV) e la categoria residuale dei Token che non sono né ART né EMT (Titolo II).
Un siffatto vuoto definitorio ha fatto perfino ritenere ad alcuni primi commentatori che le cripto-valute fossero escluse dalla disciplina del Regolamento; che cioè proprio gli emittenti (e forse anche gli offerenti e i prestatori di servizi) degli gli asset digitali più noti, diffusi e pericolosi per la tutela del mercato e del risparmio, non fossero soggetti ai vincoli informativi, patrimoniali e di governance dell’ordinamento europeo.
È quindi compito dell’interprete fare chiarezza in ordine alla natura e funzione dei fenomeni di cui il Regolamento si occupa compiendo il primo passo per dare certezza ai risparmiatori, agli investitori, alle istituzioni e al mercato in generale per garantire uno sviluppo rapido e ordinato dell’ecosistema cripto in Europa cavalcando l’onda di questa rivoluzione tecnologica.
Il legislatore europeo si è già occupato di cripto-valute in ambito antiriciclaggio introducendo all’art. 1 della Direttiva (UE) 2018/843 (c.d. V Direttiva) la seguente definizione: «valuta virtuale: la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un'autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l'acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente»¹.
Leggendo la definizione, va innanzi tutto notato che è stata adottata una tecnica “per sottrazione” («non emessa né garantita», «non necessariamente collegata») il che, di per sé, lascia sempre un ampio margine di ambiguità semantica. Il legislatore si è poi rivolto alla condotta del portatore («utilizzata come mezzo di scambio»), come se la natura dello strumento non fosse unicamente ancorata alle sue caratteristiche intrinseche, ma dipendesse dalle intenzioni di chi ne fa uso. Ma, al netto delle caratteristiche particolari appena accennate, va immediatamente colto il cuore della definizione, ovvero che la valuta virtuale è in termini generali una «rappresentazione digitale di valore». Ma i dubbi aumentano: cos’è un «valore»? e perché mai un bitcoin, per esempio, non sarebbe un valore in sé, ma solo una sua «rappresentazione»?
Le criptovalute sono una particolare classe di asset digitali che comunemente chiamiamo token (di cui fanno parte, per esempio, giusto per nominare i più noti, gli NFT, i security token e gli utility token). Una classe caratterizzata dall’essere consistente, ovvero capace di riprodurre in ambiente digitale l’unicità e rivalità tipiche degli asset fisici².
Prima della DLT – ovvero prima della tecnologia a registri distribuiti che rende possibile la creazione di token – non era possibile distinguere un asset digitale dalla sua copia, e quindi – per intenderci – non era possibile utilizzare un comune file per incorporare in esso un’obbligazione (pecuniaria o di altra natura) dell’emittente a favore del portatore in quanto tale file avrebbe potuto essere copiato moltiplicando indebitamente la misura del credito o delle prestazioni dovute.
Oggi, invece, una dichiarazione relativa ad un credito può essere tokenizzata, può cioè essere incorporata in un supporto digitale (il token per l’appunto) senza essere soggetta a moltiplicazione abusiva: un bitcoin non può essere copiato (duplicato), ma solo ceduto (trasferito).
Nel paragrafo precedente si è visto che i token possono essere strumenti idonei alla incorporazione di un credito o altra obbligazione, ovvero al trasferimento di tale credito o obbligazione a mezzo della semplice consegna del token che li incorpora.
Le comuni banconote, per esempio, assolvono proprio tale funzione. Esse consentono al debitore di estinguere la propria obbligazione attraverso la semplice consegna del titolo (la banconota). Il possessore di una banconota, infatti, è fino a prova contraria creditore del valore facciale della banconota posseduta. Si tratta di un credito vantato in ultima analisi contro l’emittente, ovvero contro lo Stato titolare esclusivo del diritto di battere moneta avente la valuta indicata nella banconota. Un credito che, quindi, può essere liberamente speso, per esempio, per pagare le tasse oppure, se la banconota ha corso legale, per estinguere altri debiti pagabili nello Stato dell’emittente.
Ebbene, se le banconote, in definitiva, hanno sempre un emittente ben identificato e rappresentano sempre un suo credito (lo incorporano), è opportuno chiedersi se i bitcoin, o altre simili cripto-valute, siano davvero «valute», ovvero possano davvero essere considerate denaro in forma tokenizzata³.
La domanda è probabilmente destinata a rimanere senza risposta in quanto dipende da cosa si intende per “valuta” e per “denaro”. A tale riguardo va senz’altro sottolineato che – tanto in italiano quanto in inglese – la scelta del termine “valuta” è stata piuttosto infelice in quanto questo è il nome della divisa con cui si misura un importo di denaro, ma non è l’oggetto di emissione e negoziazione che la normativa antiriciclaggio si propone di regolare. In altri termini, la “valuta” è un’unità misura, mentre le banconote e monete nelle nostre tasche sono i titoli che rappresentano il credito di cui siamo titolari (espresso in tale valuta). Allo stesso modo, non dovremmo chiamare cripto-valuta (crypto-currency) i bitcoin che sono nel nostro wallet. Il termine più appropriato, e che eviterebbe molti fraintendimenti, sarebbe cripto-contante (crypto-cash). Il bitcoin in senso lato sarebbe solo il nome della divisa che si apprezza o deprezza in funzione del volume degli scambi.
Al di là di queste considerazioni linguistiche, che tuttavia sono fondamentali per cogliere l’intima natura delle cripto-valute, rimane un fatto ineludibile: le valute ufficiali (ovvero quelle emesse dagli Strati, come euro e dollaro) non possono essere poste sullo stesso piano dei bitcoin proprio perché questi ultimi, a differenza delle prime, non rappresentano un debito dell’emittente.
Come accennato al § 1, il Regolamento non si occupa in modo esplicito di cripto-valute. Compito dell’interprete è quindi ricondurle di volta in volta in una delle tre categorie previste (ART, EMT, e i token diversi di cui al titolo II del Regolamento).
A tale riguardo, possiamo senz’altro escludere che le cripto-valute siano riconducibili alla categoria delle monete elettroniche in forma tokenizzata (EMT – Titolo IV del Regolamento), tali essendo solo la comune moneta elettronica (regolata dagli artt. 114-bis e ss. TUB) in forma tokenizzata⁴.
Resta quindi da decidere quando alle cripto-valute si applica la disciplina prevista per le ART (Titolo III del Regolamento). Tali, in linea di massima, dovrebbero essere solo le stable-coin che, anziché avere come sottostante una ed una sola “valuta ufficiale” (in tal caso sarebbero delle EMT), hanno un paniere di più valute o altri titoli che, secondo la definizione stessa di ART, «mira a mantenere un valore stabile» (e se poi ci riesce o meno è diversa questione)⁵.
In tale caso, però, si ricadrebbe quasi certamente nella nozione di strumenti finanziari che, per espressa previsione normativa, sono esclusi dal Regolamento (art. 2.4.a)⁶.
Non rimane, quindi, che la categoria residuale delle cripto-attività che non sono né ART né EMT di cui al Titolo II del Regolamento. Tuttavia, in questo caso, le cripto-valute tipo bitcoin sarebbero escluse giacché, da un lato si tratta di token non collegati ad alcunché (non hanno un sottostante a cui ancorano il loro valore); dall’altro lato, si tratta di cripto-attività «create automaticamente a titolo di ricompensa per il mantenimento del registro distribuito o la convalida delle operazioni» (art. 4 del Regolamento).
In conclusione, non pare esservi in via generale spazio nel Regolamento per i bitcoin né per altre criptovalute simili. Esistono però progetti in cui i token emessi dal promotore non sono collegati ad un sottostante, non sono emessi come remunerazione dei nodi e sono tuttavia utilizzati dagli utenti come mezzo di scambio per acquisto di beni e servizi offerti dall’emittente o da altri soggetti legati a questo da un rapporto di tipo consortile. Si tratta dei comuni programmi di fidelizzazione (punti fedeltà) tipici della GDO.
Questa pare l’unica casistica in cui una cripto-valuta, propriamente detta, sarebbe soggetta alla disciplina del Titolo II del Regolamento⁷.
Mentre accade quanto sopra descritto nel mondo dei Cripto-asset, la BCE ha da tempo messo in cantiere l’introduzione dell’euro digitale, anche per affrontare l’evoluzione del panorama finanziario globale, sempre più tecnologizzato e garantire, quindi, competitività al sistema bancario europeo.
Cripto-asset, cripto-valute e specie stablecoin costituiscono sfide importanti nel sistema dei pagamenti e quindi anche possibili minacce alla stabilità finanziaria del sistema, di fronte alle quali l’Europa deve fare certamente dei passi nuovi.
La concorrenza nei sistemi di pagamento, come noto, è legata alle stablecoin, piuttosto che alle cripto-valute non ancorate a un valore sottostante come i bitcoin, che sono più utilizzate come strumento di investimento.
Come detto, alla luce del Regolamento MiCA le stablecoin si possono suddividere in due grandi categorie, in base alle specifiche caratteristiche:
Le stablecoin hanno avuto una grande crescita negli ultimi anni, sia quanto alle tipologie presenti sul mercato, messe in campo anche da parte di istituzioni finanziarie rilevanti), sia in termini di capitalizzazione.
Le stablecoin, che hanno ricevuto un espresso riconoscimento e regolamentazione anche nell’ambito dell’Unione europea con il Regolamento MiCA, costituiscono dunque un elemento di una certa preoccupazione per la Banca Centrale Europea e per le Banche centrali nazionali.
Di fatto, essendo il dollaro statunitense la principale valuta di riferimento e di riserva delle banche centrali globali, le stablecoin tendono ad ancorarsi a su tale valuta (circa il 92% delle stablecoin a livello globale sono espresse in dollari). È chiaro, quindi, che c’è a rischio la sovranità monetaria nel settore pagamenti se le stablecoin collegate a valute extra UE svilupperanno maggiori quote di mercato, tanto da poter mettere in discussione il ruolo dell’Euro nel sistema dei pagamenti.
Ecco che si sono attivate nell’Eurosistema alcune tipologie di risposte a questo problema.
A questo riguardo, sembra decisivo cercare un apprezzabile equilibrio tra la necessaria regolamentazione, la tutela dei dati personali e delle informazioni relative agli utenti e consentire al contempo una ampia libertà di utilizzo: è chiaro che uno strumento di pagamento digitale sottoposto a rilevanti vincoli e restrizioni non troverebbe il favore degli utenti e non potrebbe aver, quindi, la necessaria diffusione.
Solo per fare un esempio, se come è stato anticipato il limite di utilizzo dell’euro digitale verrà stabilito in 3.000 euro per ogni “deposito”, senza possibilità di remunerazione, non occorre essere degli esperti finanziari per prevedere che le criptovalute o le stablecoin difficilmente saranno soppiantate dall’utilizzo dell’Euro digitale.
In proposito, va ricordato che lo stesso Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, ha dichiarato espressamente che “per concorrere fattivamente al progetto dell’Eurosistema sull’euro digitale, un mezzo di pagamento innovativo, sicuro, accessibile gratuitamente a tutti i cittadini” alla Banca d’Italia “si sta adottando una soluzione organizzativa che, mediante il concorso di tutte le competenze necessarie, potrà contribuire a svolgere le attività richieste in modo agile e flessibile”.
Decisamente interessante, sotto il profilo conoscitivo/informativo è il paper pubblicato dalla Banca d’Italia intitolato “CBDC And The Banking System”, col quale l’Istituto centrale elenca i diversi benefici che potrebbero derivare dall’adozione dell’euro digitale.
Secondo Banca d’Italia, una CBDC⁸ che fosse disponibile al pubblico andrebbe ad integrare le riserve delle banche centrali e le banconote (forme attuali di denaro pubblico) – con un accesso più ampio rispetto alle prime, disponibili di fatto, attualmente, solo per gli Istituti di credito e in forma digitale.
D’altro canto, una CBDC male impostata potrebbe comportare problemi di privacy, in quanto le banche centrali avrebbero a disposizione quantità illimitate di dati sensibili sui comportamenti degli utilizzatori dell’euro e potrebbero sorgere anche problemi di politica monetaria o di stabilità finanziaria, in caso di riduzione dei depositi bancari presso le banche ordinarie.
L’attuazione dell’euro digitale non è privo di problemi: com’è stato ricordato anche dalla stampa specializzata, il progetto dell’euro digitale deve fare i conti con i limiti di attuazione dell’attuale infrastruttura tecnologica, tanto da rendere plausibile l’ipotesi che la valuta digitale della BCE possa essere emessa senza il supporto della tecnologia a registro distribuito in quanto, da un lato, la creazione da zero di una rete privata richiederebbe tempi troppo lunghi, mentre dall’altro lato, le reti pubbliche pongono problemi di controllo e continuità del servizio difficilmente superabili. È un tema aperto, tuttora in discussione.
Appare quindi evidente che un euro digitale in grado di competere con sempre più sviluppati mezzi di pagamento tramite cripto-valute, specie quelli ancorati a una valuta forte, occorre un maggior coraggio nell’affrontare con realismo i temi della digitalizzazione dei pagamenti e sviluppare in tempi rapidi il progetto di una adeguata CBDC europea.
Testo così modificato con il D.Lgs. 231/2007 (art. 1, lett. qq). Medesima definizione di cripto-valuta è stata poco dopo ripresa dal D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 184, in tema di «lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti» (in recepimento della direttiva (UE) 2019/713). Precede le definizioni normative citate, quella dell’EBA del 2017: «Virtual currencies is a digital representation of value that is neither issued by a central bank or public authority, nor necessarily attached to a legal tender». Si vedano anche i simili orientamenti definitori della Financial Action Task Force (FATF (2020), Money Laundering and Terrorist Financing Red Flag Indicators Associated with Virtual Assets, FATF, Paris, France,) e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE (2022), Crypto-Asset Reporting Framework and Amendments to the Common Reporting Standard, OECD, Paris, Sez. IV, nn. 2 e 3).
Le caratteristiche di un token possono essere in parte diverse, ma si riassumono bene nella locuzione inglese append only, a significare che un token è legato alle informazioni che lo definiscono anche se aggiunte successivamente. Informazioni che attengono alla sua origine, contenuto e titolarità. Per tale ragione un token può essere durevole, storicizzato, induplicabile e immodificabile.
Per rispondere a tale domanda, occorre innanzi tutto sottolineare che non esiste alcun divieto di “stampare” denaro. Chiunque può farlo, anche in forma di cripto-valuta, rispettando ovviamente il monopolio statale di utilizzo delle cc.dd. valute ufficiali (euro, dollaro, ecc.).,Né esiste una normativa su come emettere denaro privato, né le regole sulle cambiali personali e le obbligazioni societarie si possono utilizzare in via analogica.
La moneta elettronica è il tentativo di creare un contante digitale (digital-cash) che, tuttavia, non avendo le caratteristiche dei token (unicità e induplicabilità, e quindi spendibilità diretta con il creditore), necessita per le transazioni sempre dell’intervento di un intermediario.
Un esempio in tal senso è il progetto Libra di qualche anno fa patrocinato da Meta poi abbandonato più per ragioni politiche che di fattibilità.
La definizione di «strumento finanziario» è fornita dalla MIFID 2 (e in TUF, art. 2). Anche in questo caso l’interprete è smarrito in quanto la tecnica definitoria utilizzata è quella della elencazione delle singole fattispecie tra cui, peraltro, vi è quella di “valore mobiliare”, nozione residuale, ampia e quantomai incerta (indefinita!).
Nonché alle altre discipline specifiche della normativa su operazioni e concorsi a premi di cui al D.P.R. 430/2001.
Acronimo di Central Bank Digital Currency - forma elettronica di moneta emessa da una banca centrale con un potenziale ampio utilizzo da parte di famiglie e aziende per accumulare valore ed effettuare pagamenti.